Rumore di Fondo E01S03 - Phreak that #1 - roots
🗓️ Gennaio (睦月), il mese degli affetti
🎬 Perfect Days
#phreak #hackers #geek #phackera
//.intro
"Rumore di Fondo" è una pubblicazione altamente aperiodica, indipendente e senza alcuno scopo di lucro
//.signorina37
digital strategist, retrogamer, programmatrice COBOL, diabetica, cucino e parlo giapponese, ho scritto libri, ho visto cose, frequento gente discutibile
E01S03:
intro
Phreak that #1 - roots
retroplaylist di Gennaio
👉🏻 intro
Til everything burns
While everyone screams
Burning their lies
Burning my dreams
All of this hate
And all of this pain
I'll burn it all down
As my anger reigns
Til everything burns
💻 Phreak that #1 - roots
“Another one got caught today, it's all over the papers.
’Teenager Arrested in Computer Crime Scandal’, ‘Hacker Arrested after Bank Tampering’.. Damn kids.
They're all alike.
But did you, in your three-piece psychology and 1950's technobrain, ever take a look behind the eyes of the hacker? Did you ever wonder what made him tick, what forces shaped him, what may have molded him?
I am a hacker, enter my world...”
La cultura hacker1 è molto più di uno stereotipo hollywoodiano - fatto di figure incappucciate, con le occhiaie da notti insonni e un gergo tutto particolare. È una sottocultura ricca e complessa, capace di plasmare il mondo tecnologico moderno in ogni sfaccettatura.
Eravamo curiosi
È un modo di pensare, è una mentalità che si nutre di curiosità e creatività e della ricerca incessante di comprendere come funzionano i sistemi.
Alla sua essenza più pura, riguarda il superare i limiti, il risolvere i problemi in modi non convenzionali e il condividere liberamente la conoscenza (in fondo, knowledge is not a crime).
L’hacker, quello che molti di voi immaginano seduto in salotto, con la felpa nera e lo screensaver di Matrix, non era il cattivo.
La sua nemesi era il cracker, quello che scassava le cose, quello che doveva rompere le cose - per vedere, rubare, curiosare, ..
Tutta colpa dei trenini elettrici
Siamo negli anni '60, al MIT - l’incipit alla Carlo Lucarelli è quasi d’obbligo - e un gruppo di appassionati del Tech Model Railroad Club (TMRC) avevano il pallino di costruire sistemi complessi e ingegnosi per i trenini elettrici. Tutto cambiò quando l'università si dotò di uno dei primi computer (era un IBM 7042), e loro.. impazzirono.
La programmazione, in fondo, è un modo per automatizzare, per risolvere, per elaborare e per migliorare qualcosa. Con questa idea in mente, decine e poi centinaia e poi migliaia di nerd si interessarono allo studio e alla ricerca informatica.
Siamo verso la fine degli anni ‘70 e la cultura hacker si sta diffondendo “come una piaga, tra quei giovani occhialuti saccenti, sempre seduti davanti ad un televisore!”; grazie all'avvento dei personal computer come Apple II e Commodore 64, la voglia di comunicare cresce.
Scambiare idee, impressioni, opinioni, codice. Difficile con una macchina da scrivere o con il lento servizio di posta. E se la necessità aguzza l’ingegno, i giovani occhialuti si inventano un modo nuovo di condividere: nascono le bulletin board systems (BBS)3, il vero e proprio ground zero della comunicazione.
Ethics only exists in the eyes of the beholder
L’etica è il cuore della cultura hacker.
L’etica è il fondamento per la divulgazione e la libertà.
L’etica, che piano piano viene a perdersi con il mutare dell’interpretazione del termine “hacker”, è il motore che alimenta la passione dei pionieri.
L’etica, fondamentalmente, si basa su questi principi:
accesso alle informazioni: le informazioni dovrebbero essere libere, consultabili e accessibili a tutti; le restrizioni sono viste come ostacoli all'innovazione
decentralizzazione: il concetto è semplice, se i sistemi centralizzati sono considerati fragili e soggetti ad abusi, i sistemi decentralizzati incoraggiano substrati di resilienza e collaborazione
meritocrazia: abilità e conoscenza dovrebbero definire lo status nella comunità, non i titoli o l’autorità formale - aka se sei incapace e raccomandato, accomodati in fondo a destra
giocosità e creatività: l'hacking non è una scienza rigida e arida, è un processo di esplorazione, di scoperta, di divertimento, di approcci creativi e artistici
Steven Levy4, giornalista americano, sulla cultura hacker, ha scritto un libro iconico, Hackers: Heroes of the Computer Revolution, nel quale documenta l'ascesa del movimento e di chi ne ha fatto la storia.
Ma l’hacker è cattivo
No, non è cattivo, è solo un brutto pregiudizio.
Oggi tanti scribacchini e giornalisti sgombri confondono i termini, definisco gli hacker come i cattivi, i cybercriminali. Gli hacker sono la feccia, sono persone senza scrupoli che mirano solo a “massimizzare il profitto di una scorribanda in rete” (cit.).
Peccato di queste figure, i giornalisti, non ne sappiano abbastanza.
Abbastanza da capire che gli hacker li scrupoli se li fanno.
Abbastanza da non conoscere la differenza sostanziale che passa tra un black e un white.
Il black hat, oggi, è un cattivo di dimensioni epiche, capace di sfruttare ogni tipo di vulnerabilità per arricchirsi. È quello che viola i sistemi informatici di una organizzazione per rivendere i dati sul dark web.
Al contrario, un white hat, è un hacker etico, che utilizza il suo bagaglio di competenze per migliorare la sicurezza dei sistemi, offrendo i suoi servigi (dietro compenso spesso).
C’è anche un grey hat, un personaggio a metà tra il bianco ed il nero, capace di violare i sistemi di sicurezza, senza fare danni, con intenzioni altruistiche.
Ci sono poi altre sfumature, ma questa è una classificazione generale da sapere, prima di parlare a sproposito di criminali (o presunti tali).
Perché i giornalisti non li distinguono?
Perché non si informano?
Perché sono over 60, perché sono under 30, perché non hanno tempo e voglia di andare a indagare, perché credono di sapere tutto loro, perché “tanto se lo scrivo io che sono giornalista, nessuno mi metterà in dubbio”.
Perché sono vecchi e stanchi, di un lavoro monotono, di una scrittura che sarà rimpiazzata da un’intelligenza artificiale, perché è più facile dire così che spiegare, perché accontenta il capo (che ne sa ancor meno) e chissà ancora perché.
Hacker Culture at its best
Ha guidato l'innovazione tecnologica: dalla creazione dei software opensource (rms5, Torvalds6) allo sviluppo stesso di internet - quella cosa che usate oggi per fare i test di quale verdura siete e per guardare i porno.
Oltre alla tecnologia, la cultura hacker ha influenzato l'arte, l'attivismo e persino la politica - l'hacktivismo, una fusione tra hacking e attivismo, utilizza la tecnologia come strumento per il cambiamento sociale, come dimostrato dall’impegno e dal lavoro di gruppi come Anonymous e WikiLeaks.
È “il meglio, del meglio, del meglio” (cit.) della curiosità, della creatività e dell'ingegno umano. Mette in discussione lo status quo, trova soluzioni innovative e fuori dagli schemi, promuove lo spirito di collaborazione e di responsabilità etica.
🎼 RETROPLAYLIST DI GENNAIO (SPOTIFY)
Abba - Gimme! Gimme! Gimme!
Mark Knopfler - What it is
Nick Kamen - I promised myself
ZZ Top - Pearl necklace
Boney M. - Rasputin
Elton John - I’m still standing
Bruce Springsteen - I’m on fire
Genesis - Invisible touch
Queen - I want it all (2011 remastered)
Bachman Turner Overdrive - You ain’t seen nothing yet
Tom Jones - Sex bomb
The Rolling Stones - Start me up (2009 remastered)
Hacker Manifesto su Phrack: https://phrack.org/issues/7/3
Steven Levy, uno di noi: https://en.wikipedia.org/wiki/Steven_Levy
Richard Stallman (che mi sta antipatico forte, neh, ma indiscutibilmente uno dei pilastri della community): https://en.wikipedia.org/wiki/Richard_Stallman
Linus Torvalds: https://en.wikipedia.org/wiki/Linus_Torvalds